La trasfigurazione di Gesù

«Fu trasfigurato davanti a loro» 

 

di Stefano Tarocchi · Appena subito dopo l’episodio della professione di fede di Pietro – il Vangelo di Marco, seguito dal vangelo di Matteo, annota: «sei giorni dopo» –, colloca la vicenda misteriosa e affascinante della trasfigurazione di Gesù.  

Al centro c’è un monte, che non ha nome, lo stesso Gesù, e tre discepoli del gruppo dei Dodici. Subito dopo l’episodio c’è il secondo dei tre annunci della passione, e il commento conseguente di Gesù (Mc 9,30-37).  

Così leggiamo: «sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni – in Luca abbiamo «Pietro, Giovanni e Giacomo» – e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.

 Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti» (Mc 9,2-10). 

Il racconto usa un’espressione estremamente evocativa quanto misteriosa per mettere in luce ciò che è accaduto a Gesù: «fu trasfigurato davanti a loro».  

Nella sua pagina l’evangelista Marco si muove a descrivere le vesti di Gesù, con il tocco diremmo quasi pittorico del suo tipico narrare: «le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche» (Mc 9,3). Così negli altri vangeli: «la sua veste divenne candida e sfolgorante» (Lc 9,29); «le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2). Nei racconti paralleli di Matteo e di Luca lo sguardo del narratore si concentra anche sul volto di Gesù, divenuto quasi straniero: «mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto», letteralmente «divenne altro» (Lc 9,29); «il suo volto brillò come il sole» (Mt 17,2).  

Non è casuale che anche nel libro dell’Esodo abbiamo: «quando Mosè scese dal monte Sinai non sapeva che la pelle del suo volto era diventata raggiante, perché aveva conversato con il Signore» (Es 34,29). È qui che la traduzione latina di Girolamo ha ispirato in questo tratto la celebre statua di Michelangelo, con due corna che emergono dalla fronte. 

Ora, se la veste esprime il nostro essere in relazione con gli altri – l’abito fa il monaco –, il volto esprime la realtà della persona, in tutta la potenzialità del suo essere. 

Sul monte, con Gesù e i discepoli, compaiono anche Elia con Mosè, invertiti nell’ordine in cui ci aspetteremo di trovarli come rappresentanti delle sacre Scritture: la Legge e i Profeti. Oltretutto Elia non è nemmeno un profeta che ha lasciato un suo scritto, ma è immagine forte per descrivere la missione di Gesù: così il Battista ne riprende i tratti più significativi. 

Tuttavia, ciò che conta in questa occasione è la testimonianza di Mosè ed Elia, che infatti nel parallelo di Luca diventa il colloquio sull’esodo di Gesù («Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme»: Lc 9,30-31), ossia sulla passione che lo attende a Gerusalemme.
Nel testo di Marco la presenza di Mosè ed Elia giustifica le parole con cui Pietro, in maniera quasi ingenua, propone di costruire tre tende sul monte, per Gesù e i due rappresentanti delle antiche Scritture: «è bello essere qui» (Mc 9,5).  

L’evangelista mette in rilievo lo spavento di Pietro, che provoca l’assoluta incapacità di comprendere quell’evento, e non, come talora si sente, l’intenzione di restare sul monte, evitando la discesa dallo stesso monte che conduce poi a Gerusalemme.  

Di più, su quel monte si presenta anche una vera e propria manifestazione divina, con la voce che parla dalla nube e indica il Figlio, ponendolo al centro dell’ascolto dei discepoli: «questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (Mc 9,7). E anche: «questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!» (Lc 9,35); «questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,5). Queste sono anche le identiche parole che troviamo nel racconto del battesimo di Matteo: «questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (Mt 3,17). 

L’episodio della trasfigurazione ha il suo culmine nel momento della discesa, con l’ordine di Gesù ai discepoli di non rivelare quanto hanno veduto sul monte. Il termine è fissato dopo la risurrezione dai morti del Figlio dell’uomo.  

Ma è proprio questa la domanda che si pongono: che cosa significa risorgere dai morti? 

In questa maniera l’evangelista narra ai suoi lettori il cammino verso Gerusalemme: una volta stabilito che Pietro afferma che Gesù è il Cristo (Mc 8,29), è il momento di compiere il viaggio verso Gerusalemme. La città santa saprà rivelare in pieno il significato di questo episodio carico di mistero.  

Intanto i discepoli si trovano in mezzo alla loro povertà di creature umane, «uomini di poca fede» (Mc 4,40).
Infatti, poco prima, ed esattamente quando ha riferito le sue parole, il Vangelo di Marco ha riferito che Pietro «non sapeva cosa convenisse dire: erano spaventati» (Mc 9,6; cf. Lc 17,33: «egli non sapeva quello che diceva»). Così che in Luca e in Matteo si parla di paura e di terrore: «all’entrare nella nube, ebbero paura» (Lc 17,34); «all’udire ciò [la voce divina che parla dalla nube], i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore» (Mt 9,6). Ma proprio in quel momento, è sempre Matteo a raccontarlo, «Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete» (Mt 17,8). 

Possiamo chiederci il perché di questo silenzio: si tratta forse di una delle modalità del silenzio messianico, o meglio della possibilità di equivocare sull’interpretazione della missione di Gesù? 

Perché «beati i poveri»? Una parola importante nei Vangeli

«Beati i poveri?»

 

Il Mantello della Giustizia – Febbraio 2023

di Stefano Tarocchi · È noto che nei Vangeli di Matteo e Luca, all’interno dell’insegnamento chiamato delle beatitudini, viene a trovarsi in primo piano quella circa i poveri. Così leggiamo in Matteo: «vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: 

 «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,1-3). E così leggiamo in Luca: «tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Lc 6,19-20). 

Qui non è possibile notare tutti gli elementi che gli Evangelisti mettono in evidenza, ma cominciando dalla folla che entra in contatto con Gesù, perché come dice il vangelo di Luca: «da lui usciva una forza che guariva tutti», le parole di Gesù sembrano piuttosto essere rivolte ai discepoli. 

Non è il caso di stabilire perché Luca dice «beati voi poveri», e Matteo «beati i poveri in spirito». In sostanza non si mettono in contrasto due modi di intendere la povertà, quella che chiama direttamente in causa i discepoli («beati voi»), e quella che specifica «i poveri in spirito». Così Matteo precisa – e non diminuisce! – il senso della povertà, di fronte al rischio di renderla solo un’ipotesi: si è davvero poveri se non si è attaccati a niente, nemmeno alla stessa povertà. 

Nemmeno qui importa decidere quale dei due detti di Gesù è quello più antico: probabilmente quello più sintetico di Luca, che alle quattro beatitudini da lui trasmesse (Matteo ne tramanda ben otto, più una ulteriore, che si rivolge direttamente ai discepoli) aggiunge quattro appelli, come quello che si accompagna alla beatitudine della povertà: «guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione» (Lc 6,24), letteralmente un vero e proprio grido di denuncia contro ciò che si oppone all’essere povero, che si accompagna al possesso del regno di Dio, o del Regno dei cieli, come dice Matteo.  

I lessici definiscono questa parola (guai!) quasi onomatopeica «un’esclamazione di dolore o di denuncia… che esprime estremo dispiacere e chiede per il dolore una pena retributiva su qualcuno o su qualcosa: guai! ahimè!». Si trova due volte in Marco; undici in Luca, oltre alle quattro di questo contesto, e addirittura ventiquattro in Matteo 

Matteo consegna quest’insegnamento di Gesù, le “beatitudini”. raccogliendolo nel primo dei cinque grandi discorsi che caratterizzano questo scritto. Insieme a Luca, come è noto, Matteo utilizza la “fonte dei detti”, ma quest’ultimo Vangelo la restituisce in maniera differente, ossia collegando insieme questa serie omogenea di insegnamenti. 

Ciò che determina, tuttavia, il senso di questa esaltazione controcorrente della povertà – che non è certo al centro delle ambizioni dell’opinione corrente –, la prima di quelle situazioni controcorrente che il Vangelo consegna nelle parole di Gesù allora e oggi a quanti sono capaci di ascoltarle. 

Il richiamo ai poveri lo troviamo anche in altri passaggi dei Vangeli: richiamiamo qui in particolare due brevi tratti di Matteo e Luca,  che già affrontato di recente.  

Le risposte di Gesù affidate agli inviati del Battista, fino a raggiungere lui stesso mentre si trova in prigione, stretto nel dilemma di aver fallito completamente la sua missione, è determinante nel mettere in rilievo proprio questo insegnamento del Vangelo.  

«Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Mt 11,4-5): così Matteo.  E così Luca: «andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia» (Lc 7,22). 

Non a caso la letteratura biblica, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, non è molto distante da queste parole, che legano la povertà e l’umiltà. Se il povero è colui che ha a disposizione come suo difensore soltanto il Signore, ecco che Sofonia, profeta scrittore vissuto nel VII secolo a.C. sotto il regno del re Giosia (640-609 circa a. C.) può così affermare: «cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia, cercate l’umiltà; forse potrete trovarvi al riparo nel giorno dell’ira del Signore» (Sofonia 2,3).  

È un concetto che troviamo nel libro dell’Esodo, a proposito del riposo della terra ogni sette anni: «nel settimo anno non sfrutterai [la terra] e la lascerai incolta: ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo e ciò che lasceranno sarà consumato dalle bestie selvatiche. Così farai per la tua vigna e per il tuo oliveto (Es 23,11). Un concetto, questo, proponibile ancora di questi tempi? 

Ma la risposta arriva dalla seconda parte del libro di Isaia (VIII secolo a.C.), scritta da un autore anonimo che scrive all’epoca dell’esilio in Babilonia (587-538), posta sotto il nome del profeta omonimo e denominata anche “Libro della consolazione”: «i miseri e i poveri cercano acqua, ma non c’è; la loro lingua è riarsa per la sete. Io, il Signore, risponderò loro, io, Dio d’Israele, non li abbandonerò (Is 41,17). 

Gesù e il Battista nei vangeli di Matteo e Luca

Il Battista e Gesù nei vangeli di Matteo e Luca

Il Mantello della Giustizia – Gennaio 2023

di Stefano Tarocchi · Dopo aver trattato nei numeri scorsi di novembre e dicembre la figura del Battista così come è presentata all’interno dei Vangeli di Luca e di Giovanni, in questo terzo intervento vorrei prendere in considerazione due testi, che appartengono alla fonte che è comune al Vangelo di Luca e a quello di Matteo: la “fonte dei detti”, che si aggiunge al vangelo più antico: quello di Marco. Dato che si tratta di questioni estremamente complesse, farò riferimento al nome di qualche autore. 

Il Vangelo di Matteo apre una finestra su un quadro molto interessante delle relazioni fra Gesù e il Battista. Mentre quest’ultimo si trova in prigione prima della sua morte violenta ad opera di Erode, «avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11,2-6).  

Non è chiaro se il Battista stesso, mentre si trova in prigione, manda degli inviati a fare quella domanda fondamentale: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Si tratta di un suo dubbio, nel momento in cui la morte si trova nel suo orizzonte prossimo, oppure vuole che i discepoli che manda da Gesù siano istruiti da quest’ultimo?  

La risposta di Gesù è estremamente significativa: si tratta di tutta una serie di azioni che egli compie, in cui egli compie gesti di guarigione molto evidenti, le azioni di Gesù culminano nell’annuncio del Vangelo ai poveri. Non è un caso che questi siano lo stesso oggetto di particolare attenzione nella duplice versione delle beatitudini di Matteo e Luca.  

Ma c’è un crescendo nella narrazione. Infatti, dopo la risposta di Gesù, che esige è il momento in cui Gesù svela dal suo punto di vista immagine del Battista davanti alle folle: «che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re!  Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via» (Mt 11,7-10). 

Il Battista nell’immagine dipinta da Gesù davanti ai suoi ascoltatori il suo precursore, letteralmente colui che gli corre di dinanzi in vita e in morte. Egli è il profeta, anzi è l’unico che nella parola della Scrittura è chiamato a preparare come messaggero la via al Signore. 

Qui che sentiamo le parole più evocative del discorso di Gesù: «in verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11,11). 

Ora «il più piccolo nel regno significa “chiunque si trova adesso nel regno dei Cieli”. Proprio come Mosè condusse i figli d’Israele ai confini della Terra Promessa, ma non poté entrare, così Giovanni conduce i suoi seguaci fino all’orlo del nuovo ordine iniziato da Gesù, ma non può entrare»: così i commentari (W.D. DAVIES – D.C. ALLISON). Non a caso, «il contrasto è tra due epoche, quella della preparazione, che culmina in Giovanni, e quella dell’adempimento, l’arrivo del regno dei cieli che Gesù ha ora inaugurato. Giovanni l’aveva proclamato (Mt 3,2), ma a quanto pare rimane fuori, mentre anche il meno importante di coloro che Gesù ha ora accolto nel regno dei cieli gode di un privilegio al di là di quello anche di Giovanni stesso» (così R.T. FRANCE).  

Quindi, così prosegue la predicazione di Gesù: «dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11,12). Nel Vangelo di Luca si legge: «la Legge e i Profeti fino a Giovanni: da allora in poi viene annunciato il regno di Dio e ognuno si sforza di entrarvi» (Lc 16,16). L’autore del III Vangelo sposta in questo contesto il detto di Matteo, che tuttavia presenta caratteristiche diverse: sembra una riscrittura del testo più oscuro di Matteo, pur nella sua maggiore fedeltà alla fonte dei detti. 

Nasce intanto un primo problema: chi sono gli irruenti, i violenti che si impadroniscono Del Regno dei cieli? Si chiedono gli interpreti: sono forse quelli che mirano a sottrarre il possesso del Regno a coloro che mi devono partecipare? O sono coloro che fanno di tutto per guadagnarselo? (GNILKA). 

C’è anche un secondo problema: Giovanni appartiene o no al regno predicato da Gesù? La risposta sembrerebbe positiva in Luca («da allora in poi») al contrario di Matteo («fino ad ora»). Ma «poiché Gesù e Giovanni erano in vita nello stesso tempo, il tempo di Gesù, il tempo del regno, non dovrebbe includere anche «i giorni di Giovanni»? Inoltre, in tutto Matteo, le attività di Giovanni e Gesù sono poste in stretto parallelismo. Ciò si spiega meglio supponendo che entrambi siano considerati appartenenti allo stesso periodo della storia della salvezza» (W.D. DAVIES – D. C. ALLISON). Gesù ha già detto che «Giovanni è più di un profeta» (Mt 11,9), e quindi egli è inserito nel tempo successivo alla legge e ai profeti. Infatti, così conclude Gesù: «tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!»  (Mt 11,13-15). In breve, dunque, il Battista è da considerarsi “il primo annunciatore del regno”. 

Non meno interessante è la conclusione di Luca, che evidenzia la distanza tra quanti, attraverso l’accoglienza delle parole e del battesimo di Giovanni, hanno saputo accogliere il disegno di Dio, che si svela in gesù, e quanti, invece, lo hanno rifiutato: «tutto il popolo che lo ascoltava, e anche i pubblicani, ricevendo il battesimo di Giovanni, hanno riconosciuto che Dio è giusto. Ma i farisei e i dottori della Legge, non facendosi battezzare da lui, hanno reso vano il disegno di Dio su di loro» (Lc 7,29-30). 

Come i Vangeli narrano gli eventi: il Battista nel Vangelo di Giovanni

Come i Vangeli narrano l’evento: il caso del Battista in Giovanni

di Stefano Tarocchi · Di recente ho inteso evidenziare come la narrazione di ogni singolo evangelista viaggia su un suo proprio binario. Quando poi a essere narrato è lo stesso evento, in questo caso il battesimo, diventa molto è importante vedere come.

Dopo il Vangelo secondo Luca, adesso vorrei affrontare la narrazione secondo Giovanni. Oltre a tutto, questo breve percorso vuole essere come una preparazione alla liturgia del giorno di Natale, che ogni anno è la memoria della nascita di Cristo.

Subito dopo il celebre prologo che apre il quarto vangelo (Gv 1,1-18) – non è una semplice introduzione al testo bensì una densa riflessione teologica –, si viene a porre in primo piano la figura di Giovanni il Battista. Fra l’altro, l’evangelista lo aveva nominato all’interno del prologo, e per ben due volte.

Una prima volta il Battista è richiamato per differenziare la sua figura da quella di Gesù: «venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce» (Gv 1,6-8).

Si scorge qui la traccia di una sottile polemica contro i discepoli del Battista, quando questi ormai era morto da tempo, per tentavano di opporlo alla figura di Cristo: la luce è il Cristo, perché solo lui è chiamato a rivelare il volto di Dio. Si riprenderà questo elemento nella prima lettera di Giovanni: «Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna» (1 Gv 1,5).

D’altronde il compito di essere luce non è senza conseguenza, tenendo conto di come il Cristo è stato accolto da quanti gli si sono rivelati ostili, compreso il suo stesso popolo: «veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure, il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,9-13). E ancora sia aggiunge che la luce non è stata sconfitta dalle tenebre che la combattono costantemente: «in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,4-5).

C’è inoltre un secondo passaggio nel prologo di Giovanni che va notato, anche perché costituisce il collegamento al testo che vorremmo poi mettere in luce: «Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,15-18).

È a questo punto che l’autore del quarto Vangelo afferma con forza che Giovanni Battista è solo un testimone. Ciò diventa importante a proposito del battesimo, e del modo come l’evangelista Giovanni introduce nei fatti la testimonianza del Battista: «questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo» (Gv 1,19-27).

C’è una frase significativa, che ci informa sulla geografia di questi avvenimenti: «questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando» (Gv 1,28).

È qui però che l’evangelista, quando racconta la prima settimana dell’attività pubblica di Gesù, offre attraverso le parole del Battista uno sguardo straordinario sulla figura e il ruolo del Cristo: «il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio» (Gv 1,29-34).

Giovanni rinvia sempre al Cristo, indicato come colui che prende su sé ed elimina la colpa alla base di tutte le altre: «il peccato del mondo». Detto in altre parole, non accettare che Gesù è veramente uomo oltre che vero Dio.