Come i Vangeli narrano il battesimo: la versione di Luca

Come i Vangeli narrano l’evento: il caso del battesimo in Luca

 

Il Mantello della Giustizia – Novembre 2022

 

di Stefano Tarocchi · Quando un lettore attento dei Vangeli si pone davanti ad un testo non trova semplicemente ciò che lo scrittore sacro ha scritto, ma tutto quello che è alla base della sua narrazione. Un lettore attento è colui che non si contenta di ciò che ascolta in un’omelia magari preparata in fretta, ma cerca di capire meglio come quel testimone che è l’autore sacro lo coinvolge nella sua narrazione. È in questo modo che il racconto diventa testimonianza di colui che è l’oggetto reale del Vangelo: Gesù Cristo. 

Abbiamo visto recentemente come l’evangelista Luca ricostruisca nella sua narrazione gli eventi che portano all’insegnamento del Padre nostro. Oggi vogliamo brevemente descrivere come lo stesso autore abbia ricreato davanti ai suoi lettori la narrazione del battesimo di Gesù, e anche delle parole del Battista.  

Qualcosa di altrettanto originale accade anche nel Vangelo secondo Giovanni, che introduce la predicazione del Battista subito dopo il celebre prologo (Gv 1,1-18). Ma di questo parleremo una prossima volta. 

Veniamo al testo del Vangelo.  

È così che leggiamo: «nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» (Lc 3,1-6).  

Il racconto di Luca comincia con una premessa, dove i nomi di personaggi storici importanti, a cominciare dall’imperartore fino ai sommi sacerdoti del tempo, e a tutto il sottobosco del potere, conducono a Giovanni e alla parola divina che gli ha aperto la missione di precursore. Si va dal potere umano, sempre in procinto di crollare nonostante la sua apparente forza, fino all’uomo Giovanni Battista, per sé un nulla di fronte al potere. Ma la storia da raccontare comincia da qui. 

E qui il Vangelo inserisce la predicazione di Giovanni rivolta alle folle che vanno da lui per ricevere il battesimo.  

Giovanni non parla con un linguaggio morbido e persuasivo, per assecondare quanti vuole trascinare dalla sua parte, come fanno i potenti di oggi per guadagnare consensi.  

Giovanni parla con il suo linguaggio scomodo: «diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò, ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco». Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe» (Lc 3,7-14).

Il Battista, pur avendone l’occasione, non desidera conquistare consensi a scapito dello stesso Gesù: «poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile» (Lc 3,15-17). 

È a questo punto che l’evangelista prende per mano il lettore per introdurre il battesimo di Gesù, ma sottolineando la sorte che attende il Battista il precursore: «con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.  Ma il tetrarca Erode, rimproverato da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le malvagità che aveva commesso, aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni in prigione (Lc 3,18-20). 

L’esperienza umana del Battista si conclude in quella prigione che sfocia nella sua decapitazione, quasi a dire che chi ha operato per introdurre Cristo deve scomparire a suo vantaggio.  

Solo adesso il terzo Evangelista descrive il battesimo di Gesù: «mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba» (Lc 3,21-22). 

Non c’è una ragione plausibile per accennare alla morte del Battista esattamente prima che avvenga il battesimo di Gesù. Anche nel Vangelo secondo Marco troviamo un cenno fugace, e tuttavia estremamente significativo, alla morte del Battista nel momento in cui inizia la missione pubblica del Cristo: «dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio» (Mc 1,14). L’autore anche quest’ultimo Vangelo sembra dirci che non c’è altra storia per i testimoni del Cristo, se non anticiparne la stessa sorte. 

Ma perché Luca sembra separare la predicazione del Battista dal battesimo di Gesù, che infatti viene rammentato quasi fra parentesi, e di fatto tacendo che è il Battista a compiere il gesto in cui Gesù condivide il «battesimo di conversione per la remissione dei peccati» (Mc 1,4)? 

Intanto, secondo il suo stile narrativo, l’evangelista porta il lettore dentro il personaggio raccontato, ma possiamo anche aggiungere che all’epoca nella quale nasce questo Vangelo si avvertiva come “scomodo” il fatto che Gesù avesse voluto condividere la sorte degli uomini fino in fondo.  

Luca desidera perciò mettere in luce la coerenza del Battista con la sua missione: non è necessario dire che è lui a battezzare Gesù – cosa che nessuno dimentica – ma è importante dire che quelle parole scomode che Giovanni rivolge a chi lo ascolta, egli le ha vissute fino in fondo.  

Una coerenza rara quanto preziosa anche per l’oggi della comunità umana e cristiana. 

Il «Padre Nostro» nel Vangelo secondo Luca 

Dalla Galilea a Gerusalemme: il «Padre Nostro» nel Vangelo di Luca 

Il Mantello della Giustizia – Ottobre  2022

 

di Stefano Tarocchi · Nel Vangelo secondo Luca c’è una sezione importante, quella in cui l’evangelista racconta il viaggio di Gesù verso Gerusalemme e la passione (Lc 9,51-19,27: cf. Lc 9,51-52: «mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso»). Con quell’espressione («elevato in alto»), l’evangelista non vuole parlare solo della futura ascensione al cielo di Gesù (cf. At 1,2.11.22), ma anche della sua passione, e dello stesso viaggio a Gerusalemme, che fra l’altro comportava la salita di un dislivello di oltre mille metri. 

 Luca espande i cinquantasei versetti del capitolo 10 di Marco, il primo a raccontare nel suo vangelo il viaggio di Gesù: «partito di là, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare» (Mc 10,1).  

I due capitoli paralleli di Matteo (Mt 19,1-20,34) hanno lo stesso contenuto: «terminati questi discorsi, Gesù lasciò la Galilea e andò nella regione della Giudea, al di là del Giordano» (Mt 19,1).  

Ne risulta che i tre vangeli Sinottici descrivono il ministero di Gesù seguendo un percorso identico che muove dal nord (la Galilea), al sud (la Giudea e Gerusalemme, attraverso la valle del Giordano): così Gesù sale a Gerusalemme da Gerico.  

Si è così portati a pensare, seguendo i dati forniti dai primi tre Vangeli, che la durata complessiva del ministero di Gesù si riduca ad un anno scarso, per la menzione di una sola Pasqua e l’assenza di altre annotazioni cronologiche.  

È però vero che nel Vangelo di Marco si trovano due riferimenti alla stagione primaverile, cioè quando cade la Pasqua, durante l’attività di Gesù in Galilea: il momento in cui «Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe» (Mc 2,23), e poi quando Gesù prima di moltiplicare dei pani e i pesci «ordinò loro di fare sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde» (Mc 6,39).  

Leggendo il Vangelo di Giovanni, che ricorda tre feste di Pasqua, potremmo parlare di un ministero durato almeno di due anni, più un mese o due. Lo stesso Vangelo permette di ricostruire più viaggi a Gerusalemme, anche da strade diverse.  

Quindi, almeno una seconda Pasqua va aggiunta all’unica che è rammentata: quella della passione e della risurrezione di Gesù, avvenuta un sabato dell’aprile dell’anno 30. 

Qui vorrei però aggiungere un nuovo tassello a questa riflessione, prendendo ancora spunto dal Vangelo di Luca: «mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,38-42). 

Il villaggio di cui si parla è Betania, situato nei pressi di Gerusalemme, di cui si fa cenno anche in Lc 24,50, nel giorno della Risurrezione.  

Abbiamo notizie di Betania anche dal quarto Vangelo: «un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato» (Gv 11,1). Perché «Betania distava da Gerusalemme circa quindici stadi meno di tre chilometri» (Gv 11,18).  

Il Vangelo di Marco racconta di un andirivieni di Gesù e i discepoli tra Betania e Gerusalemme, nei giorni avanti la passione: Gesù «entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betania. La mattina seguente, mentre uscivano da Betania, ebbe fame» (Mc 11,11-12).  

Lo stesso evangelista racconta anche del l’albero di fico, che è pieno di foglie ma non ha frutti.  

È vero che siamo fuori stagione, ma Gesù impedisce all’albero di fico di averne in futuro (Mc 11,13-14): una metafora del vicino tempio, che della preghiera ha solo l’apparenza? 

Qui arriviamo al Padre Nostro, così come ci viene raccontato dal Vangelo di Luca: «Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (Lc 11,1). Infatti, Luca così annota: «i discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei» (Lc 5,33).

Il luogo dove Gesù pregava doveva trovarsi sulla strada da Betfage (in aramaico, per l’appunto, “casa dei fichi verdi”) a Gerusalemme, non lontano da Betania.  

Ora, a Gerusalemme sul Monte degli ulivi, proprio dove si trova il giardino del monastero del Pater Noster sembra sorgesse la basilica costantiniana dell’Eleona (oliveto in greco), il primo edificio sacro costruito sull’altura posta di fronte alla città santa. 

Questo elemento architettonico pone almeno alcune domande: se, a differenza di Matteo, che riporta il Padre Nostro nel discorso della montagna (Mt 5,1-7,29), in Galilea, e Luca lo colloca nella sua versione più breve e (probabilmente) più antica, durante il viaggio a Gerusalemme.  

Per questa ragione non deve essere casuale il contatto con il villaggio di Betania.

Vengono così a comporsi davanti a noi due orizzonti completamente diversi, che tuttavia si completano a vicenda. Matteo e Luca li ricavano dalla cosiddetta fonte dei detti, un’ampia raccolta degli insegnamenti di Gesù, che i due evangelisti utilizzano in maniera indipendente l’uno dall’altro.  

Qui assume un ruolo speciale Gerusalemme, che l’evangelista Luca lascia sullo sfondo della sua narrazione, sebbene si trovi a pochi chilometri di distanza, in uno dei viaggi che Gesù ha intrapreso verso la città santa. 

A ricordarlo a chi percorre a piedi quelle terre è pur sempre rimasto il santuario del Padre Nostro, in cima al Monte degli Ulivi. 

Per un viaggio nelle terre del Vangelo e della Bibbia

Viaggiare oggi in Terra Santa 

 

di Stefano Tarocchi · Di ritorno da un recente pellegrinaggio viaggio in Terra Santa, che è terminato pochi giorni prima del decimo anniversario della morte del cardinale Carlo Maria Martini (31 agosto 2012) mi permetto di svolgere qui alcune considerazioni sulla particolare unicità nel calpestare quella terra, terra del Vangelo e terra in cui l’alleanza divina con il popolo di Abramo è accaduta e si è sviluppata. 

A viaggiare oggi in Terra Santa, si vedono con maggior chiarezza i problemi relativi ai due anni del tempo del Covid, che hanno smantellato letteralmente percorsi che negli ultimi tempi avevano portato fiumi di persone. Adesso questi fiumi non ci sono più, e indubbiamente esiste una maggiore fruibilità dei luoghi santi, consentendo visite che fino all’inizi del 2020 erano diventate quasi impossibili.  

C’è tutta una logistica da ricostruire e anche una condizione di maggiore apertura a quanti desiderano affrontare questo viaggio. Ma questo tempo intermedio, per così dire, deve essere speso per creare condizioni in cui quanti si trovano a viaggiare nella Terra Santa e nelle terre bibliche vengano assistiti nel loro cammino in una maniera maggiormente significativa da persone ben preparate. 

È noto, infatti, che per gli accordi fra le chiese cristiane della Terra Santa è consentito che i gruppi abbiano un loro accompagnatore, una loro guida, definito spiritual leader, senza rischiare di togliere forze lavoro ai locali e lasciando un ampio spazio ai frati francescani. Si tratta di una questione molto delicata che in anni precedenti era stata fortemente messa in discussione anche a causa di leggerezze di varia natura. 

A onor del vero, per Terra Santa si dovrebbe intendere un bacino molto più largo che va oltre l’attuale stato di Israele e i territori palestinesi, e che deve comprendere quantomeno il Sinai, la Giordania, il Libano, la Siria e la Turchia: in sostanza, le terre bibliche. E le ragioni sono molteplici: dagli eventi narrati nell’Antico Testamento fino a quanto comprendono i Vangeli, e tutti gli scritti che narrano l’espansione della prima comunità cristiana, attraverso i viaggi e gli scritti dell’apostolo Paolo, dall’oriente fino a Roma. 

Chi ha intrapreso un pellegrinaggio in una sola di queste terre della Bibbia sa bene quanto sia profondo il fascino di questa terra. Proprio per questo motivo non è facile condurre un viaggio in queste terre, dovendo conoscere bene le Scritture (Antico e Nuovo Testamento), la tradizione della Chiesa antica, e naturalmente gli stessi siti che vengono fatti visitare, dentro le culture con cui sono venuti a confronto (e non raramente sono arrivate a scontrarsi), dal mondo dell’ebraismo a quello dell’Islam, e dei popoli del vicino Oriente antico. In sostanza, quello che può definirsi «l’archeologia del Levante Meridionale, con particolare attenzione all’archeologia Biblica e all’archeologia Cristiana» (Fidanzio).

Qui dovremmo spendere una parola per differenziare i siti che hanno una conferma dagli scavi dell’archeologia, e quelli che invece lasciano trasparire una memoria tramandata nei secoli: se in un sito si è

 stabilito un monastero nei secoli IV e V, se nei racconti dei primi pellegrini ci sono elementi che trovano conferme attuali in quanto adesso è possibile visitare – e adesso dirò una cosa che può essere interpretata come scomoda –, questa esperienza non può essere affidata a qualcuno che si è limitato a farsi l’esperienza sul campo, magari attraverso numerosi viaggi, senza però approfondire gli studi biblici e aggiornarsi su quelli archeologici.  

Chiunque ha un minimo di esperienza sa bene quanto l’archeologia della Terra Santa sia in continua evoluzione: i risultati sono sempre davanti ai nostri occhi. È assolutamente necessario quindi essere aggiornati con le pubblicazioni di vario livello e con le notizie che vengono date dai siti più attenti. Questo anche perché occorre uno sguardo attento all’ambiente attuale, nella sua evoluzione sociologica, ma anche la capacità di far dialogare la Sacra Scrittura con l’esperienza con il luogo con cui si entra in contatto. 

Le terre del vicino Oriente e le terre bibliche sono, infatti, una miniera inesauribile per l’archeologia: il che fa invecchiare rapidamente ogni sintesi divulgativa e fa rapidamente evaporare ogni corso di approfondimento, magari creato solo con un briciolo di buona volontà. 

Per questo diventa indispensabile che non sia un signor qualunque la guida che introduce uomini e donne di tutte le età del nostro tempo nella terra del Vangelo e delle Sacre Scritture: deve sapere bene che quanti accompagna nel viaggio, credenti o non credenti, imparano qualcosa che è destinata a lasciare una traccia indelebile per il resto della loro vita.  

E noi viviamo, purtroppo, in un tempo in cui l’eccesso di informazioni non lascia il tempo né genera la capacità di distinguere tra la buona moneta e quella falsa; ciò che ha un significato profondo e ciò che si limita a colpire solo il nostro lato più epidermico.  

Del resto, anche san Paolo scriveva ai cristiani dell’antica Salonicco: «esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1 Ts 5,24). E questo è il compito affidato a chi si mette in viaggio. 

La preghiera come lotta: Abramo e Giacobbe davanti a Dio

La mediazione di Abramo davanti a Dio: la preghiera come lotta

Il Mantello della Giustizia – Agosto 2022

di Stefano Tarocchi · Nelle scorse domeniche la liturgia ha richiamato, di fronte a quanti in questi tempi così particolari trovano ancora il tempo di partecipare, l’insegnamento del Vangelo di Luca sulla preghiera, che ha come centro il Padre nostro e tutto ciò che vi è collegato: «Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”» (Lc 11,1). Lo stesso Vangelo di Luca è un continuo affacciarsi della preghiera di Cristo, fino a una sorta di culmine, ossia l’incipit del capitolo 18: Gesù «diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). E seguono due splendide parabole.

Ma oltre al testo del Vangelo di Marco, la liturgia riporta il racconto, tratto dal libro della Genesi in cui Abramo cerca di scongiurare la distruzione della città di Sodoma, punita senza rimedio per il grave peccato dei suoi abitanti.

Il racconto della Genesi è una raffinata descrizione del rapporto fra Dio e Abramo, condotta quasi in punta di penna fra i due straordinari protagonisti, come più avanti il libro dell’Esodo parlerà di Mosè: «il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico» (Es 33,11).

Richiamiamo il dialogo fra Dio ed Abramo: «in quei giorni, disse il Signore: «il grido di Sodoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». Quegli uomini – i tre sotto cui si cela il Signore alle Querce di Mamre – partirono di là e andarono verso Sodoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?».

Rispose il Signore: «Se a Sodoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque». Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci» (Gen 18,20-32).

Abramo, peraltro, non osa andare sotto questo numero, il numero di dieci unità, che significativamente diventa il minimo necessario perché si possa tenere una riunione di preghiera in sinagoga: da notare dieci unità di sesso maschile.

Ma prima della conclusione della vicenda non possiamo dimenticarci anche della lotta fra Abramo e il Signore, simile peraltro alla lotta tra Giacobbe e il Signore, narrata sempre nel libro della Genesi, dopo che quest’ultimo ritorna dal suo esilio: «durante quella notte egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici bambini e passò il guado dello Iabbòk.  Li prese, fece loro passare il torrente e portò di là anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quello disse: “Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora”. Giacobbe rispose: “Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!”.  Gli domandò: “Come ti chiami?”. Rispose: “Giacobbe”. Riprese: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!”. Giacobbe allora gli chiese: “Svelami il tuo nome”. Gli rispose: “Perché mi chiedi il nome?”. E qui lo benedisse.  Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuèl: “Davvero – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva” (Gen 32,25-31). È noto, infatti, che Vedere Dio significa morire (così Es 3,624,1133,20).

Ora, sappiamo come la vicenda di Sodoma si conclude: «il sole spuntava sulla terra e Lot – il nipote di Abramo – era arrivato a Soar, quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale. Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato alla presenza del Signore; contemplò dall’alto Sodoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace» (Gen 19,23-28).

La mediazione di Abramo sembra totalmente inutile, ma la stessa lotta di Abramo con il Signore per impedire la distruzione di Sodoma non è affatto banale: infatti, dice il testo sacro, «quando distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato» (Gen 19,29).