“Lazzaro, vieni fuori!”

Risurrezione di Lazzaro  

 

di Stefano Tarocchi · Il villaggio di Betania, che il Vangelo di Giovanni chiama il «villaggio di Maria e di Marta», diventa centrale nella sezione conclusiva del Vangelo secondo Giovanni, con la cena «sei giorni prima della festa di Pasqua».

Dice il Vangelo che «Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti.  E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali» (Gv 12,1-2; cf. 12,1-8). Fu allora che Maria cosparge i piedi di Gesù di olio profumato di vero nardo, suscitando la reazione di colui che sarà il traditore «perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?» (v. 5). Come annota l’evangelista, a Giuda «non … importava dei poveri, ma perché era ladro e siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (v. 6).  

Questa cena precede il grande ingresso di Gesù a Gerusalemme, che apre gli eventi che condurranno alla sua passione, morte e risurrezione.  

Ma a Betania è ambientato anche un altro avvenimento: stavolta il protagonista è Lazzaro (Gv 11,1-45). Il vangelo dice che «Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro» (v. 5). E Marta e Maria mandano a dire a Gesù: «Signore, colui che tu ami è malato» (v. 3). 

L’evangelista però insiste sul ritardo di Gesù ad accogliere subito l’invito: «questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato» (v. 4). 

Così la partenza di Gesù per la Giudea avviene dopo due giorni: questo genera terrore nei discepoli, di fronte al rischio di dover affrontare una violenza contro di Gesù, come in precedenza era avvenuto a Gerusalemme. Gesù dice, fra l’altro, che «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato, ma io vado a svegliarlo» (v. 11).  

È ciò che desta la perplessità nei discepoli: per loro, se Lazzaro è addormentato, vuol dire che non sta realmente male. Gesù afferma chiaramente: «Lazzaro è morto». E i discepoli sono convinti di andare incontro alla morte insieme a Gesù in quella terra dove ha rischiato di essere lapidato (Gv 8,59). Gesù però ha detto altro: «io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!» (v. 15). La sua vita, infatti, si svolge sotto la potenza divina: finché non sarà compiuta la sua missione, i nemici non potranno vincerlo   

A questo punto il racconto insiste sulla duplice osservazione delle sorelle, prima Marta, e poi Maria: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto» (vv. 21.32).  

Gesù, proprio a Marta, annuncia che Lazzaro risorgerà, ma senza aspettare l’ultimo giorno. Questa è la certezza che gli dichiara la donna, che tuttavia non nasconde la fede nell’azione di Gesù: «anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà» (v. 22).

Qui avviene la nuova rivelazione di Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (v. 25-26), e qui, in questo preciso momento, Marta riafferma la sua fede: «sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo» (v. 27). 

Ora la morte di Lazzaro è così drammatica che mentre Maria, l’altra sorella si fa incontro a Gesù, avvertita di nascosto da Marta, non appena questi la vede piangere, e anche i Giudei andati con lei, prova una così profonda commozione che anche Gesù si scioglie in un pianto totale (v. 33).  

È vero che questo pianto viene percepito come l’amicizia per Lazzaro, ma anche con la perfida verità di coloro che provano a rovesciare il senso delle sue azioni: dopotutto, secondo i detrattori, Gesù che ha aperto gli occhi al cieco (cf. Gv 9) poteva risparmiare questa morte (cf. v. 37). 

A questo punto tutto si svolge con una rapidità, tale da mettere in luce la potenza del Figlio di Dio. C’è una pietra che chiude la grotta, laddove si trova il sepolcro di Lazzaro – come davanti al sepolcro di Gesù –, e sono trascorsi già quattro giorni: tempo sufficiente perché la morte operi la sua azione devastatrice. Ma la potenza del figlio di Dio è tale anche di fronte a quell’evento tragico che il suo pianto manifesta, nonostante la certezza di ciò che sta per accadere, e che è rivelato nella preghiera di ringraziamento al Padre di Gesù, e dalle parole che restituiscono Lazzaro alla vita e ai suoi affetti: «Lazzaro, vieni fuori» (vv. 41-43).  

Il racconto di uno dei “segni” del Signore che il Vangelo di Giovanni trasmette ai suoi lettori, ciò che Gesù compie e il modo con cui egli agisce, è narrato perché si operi la fede. Ossia, perché tutti credano che lui è l’inviato del padre. 

Così l’evangelista Giovanni registra la fede di molti dei Giudei che erano venuti da Maria e che hanno visto ciò che il Cristo ha compiuto, ma anche il movimento operato da dai farisei sulla testimonianza di quanti hanno partecipato. Essi insistono perché quest’uomo, l’inviato di Dio, vada fermato.  

Uno degli esponenti più autorevoli del sinedrio, Caifa, sommo sacerdote in quell’anno, «profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,51).  

Si potrebbe definire un perfetto ragionamento machiavellico ante litteram, aggravato dall’insistenza del Vangelo su questo dettaglio: Caifa, infatti, non parlava da sé stesso, ma nella sua funzione di sommo sacerdote. Accade così che «da quel giorno decisero di ucciderlo» (Gv 11,53). 

Gli avvenimenti prendono la piega che sappiamo, ma nel racconto del quarto Vangelo troviamo la presa d’atto di Gesù circa la morte che lo attende, in quella Pasqua che sarà l’ultima della sua vita terrena. Quando dei Greci, ebrei della diaspora, saliti a Gerusalemme per la Pasqua, si avvicinano prima a Filippo, e poi ad Andrea, essi portano una richiesta: «Signore, vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21). 

Gesù così risponde: «è venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà» (Gv 12,23-26).  

E qui si innestano dei probabili accenni a ciò che accadrà nel Getsemani prima dell’arresto di Gesù, nella rilettura tipica del Vangelo di Giovanni, che conosce quanto scrivono i primi tre Vangeli, ma li elabora nella sua maniera: «adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato».  

La risposta di Gesù conduce però ancora più lontano: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori» (Gv 12,27-31). 

E si rivela così il senso della morte che attende Gesù e anche il modo in cui avverrà: «io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire» (Gv 12,23-33).

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