Teofilo, un cristiano che cerca le origini della sua fede

«Scrivere un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo»

Il Mantello della Giustizia | Marzo 2022

di Stefano Tarocchi · È noto a tutti che solamente il terzo Vangelo e il libro degli Atti degli Apostoli sono gli unici due scritti del Nuovo Testamento che si aprono con un prologo di tipo letterario.  

Per la verità, anche il Vangelo secondo Giovanni si apre con un prologo ma, potremmo dire, di differente spessore. Possiamo definire i primi diciotto versetti del quarto Vangelo come un grandioso dipinto teologico, che offre al lettore uno sguardo prospettico sul contenuto.  

Ma il terzo Vangelo, scritto da Luca al pari del libro degli Atti, ha qualcosa di diverso, e di simile agli storici da quelli più antichi fino ai suoi contemporanei (da Tucidide a Plutarco e Giuseppe Flavio).  

L’autore si esprime in maniera così incisiva ed accurata in questo breve passaggio, da permetterci di ricavare preziosi elementi per mettere a fuoco la sua intenzione compositiva. Per sapere di chi stiamo parlando, dobbiamo rivolgerci ad alcune lettere di Paolo, a cominciare dal “biglietto” a Filemone, di mano dello stesso apostolo: «Ti saluta Epafra, mio compagno di prigionia per Cristo Gesù, con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori» (Filemone 23-24). Quindi si parla di lui nei saluti di due lettere della tradizione di Paolo: «vi salutano Luca, il caro medico, e Dema» (Col 4,14). «cerca di venire presto da me, perché Dema mi ha abbandonato avendo preferito il secolo presente ed è partito per Tessalonica; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me» (2 Tim 4,9-11). 

Da altri testi antichi, compresi quelli della tradizione patristica (dal Canone Muratoriano a Ireneo, Origene e Girolamo), sappiamo che Luca non era palestinese di origine, anche se avrebbe visitato la terra di Gesù per raccogliere le fonti su cui riferisce. Era, infatti, una persona assai colta: anche se non è certo che fosse un medico, niente impedisce di escluderlo. Inoltre, era di origine pagana e conosceva bene la comunità cristiana di Antiochia, città della quale sarebbe originario. 

Il terzo evangelista è sì uno storico, ma è più che altro un teologo, che inquadra i fatti in un insieme assai preciso e dentro un prezioso orizzonte di fede. Del resto, egli usa la geografia del suo scritto in maniera eminentemente teologica, fondandola su Gerusalemme, su cui converge l’intero Vangelo e da cui muovono gli Atti. 

Ma torniamo all’esordio del Vangelo, dove si introduce la figura di Teofilo.
Così leggiamo: «poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto» (Lc 1,1-4) 

Quello che scrive Luca nel suo primo scritto è un vero «racconto» storico, distinto dal semplice resoconto della predicazione, o dell’insegnamento. È il libro che contiene la conferma di ciò che più avanti nel tempo sarebbe stato chiamato il Vangelo, passando dal contenuto al libro che lo contiene, ossia dal «buon annuncio», al quadriforme Vangelo secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni. 

L’evangelista esprime la consapevolezza di inserirsi nella corrente della tradizione, per risalire all’origine dell’insegnamento degli apostoli e dei responsabili delle comunità. L’opera è inoltre il frutto di ricerche accurate, basate sulla testimonianza oculare di quanti sono diventati annunciatori della parola. Una testimonianza che si è formata a partire dall’esordio del ministero di Gesù. 

Teofilo, modello del lettore di ogni tempo, non è un destinatario passivo: è invitato in prima persona a «rendersi conto della solidità degli insegnamenti ricevuti».  

Egli deve scoprire le ragioni della sua fede; ciò che sta per leggere non è infatti la prima istruzione che egli riceve  bensì una tappa ulteriore del cammino che ha già compiuto per incontrare Cristo. Nel testo greco del terzo Vangelo si trova proprio un verbo (katechéô), che contiene la parola «eco». Di qui ecco la catechesi: una «parola fatta risuonare».

Di Teofilo si parla anche nell’esordio del libro degli Atti, simile al prologo del terzo Vangelo, ma in grado di trasportarci agli avvenimenti di cui vuole parlare: «nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo» (At 1,1-5) 

Ma di chi stiamo realmente parlando? Chi era in sostanza Teofilo?  

Questo nome aveva un preciso significato: colui che ama Dio, oppure (anche meglio!): colui che è amato da Dio. Gli scrittori cristiani antichi lo ritenevano non un personaggio storico ma come il rappresentante simbolico di tutti gli amici e amati da Dio. Così si sosteneva che Teofilo non era il vero nome, ma uno pseudonimo che voleva tenere nascosta la sua fede appartenente alla casa imperiale romana. 

Se però torniamo ai testi, vediamo che il Vangelo ne parla come «illustre Teofilo». Da qui l’idea che alcuni hanno sostenuto che Teofilo, con il suo nome vero, apparteneva alle classi più elevate della società. Oggi si ritiene che questo titolo fosse un semplice elogio, molto importante però per non idealizzare il destinatario di due libri del Nuovo Testamento tanto da farne scolorire la sua presenza nella storia. 

Come scrive C.K. Barrett nel suo commento al libro degli Atti «poteva essere un uomo dedito all’indagine, un catecumeno, un cristiano alla ricerca di ulteriori informazioni sulle origini della sua fede e sulla storia del sorgere della Chiesa o un magistrato romano». 

Di questo personaggio, realmente esistito, tuttavia noi non sappiamo nulla, tranne il fatto che viveva con grande probabilità ad Antiochia di Siria, oggi in Turchia, città nella quale il terzo Vangelo era stato scritto. 

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