Paolo e il cristianesimo delle origini

Il Mantello della Giustizia – Novembre 2017

Decapitación_de_San_Pablo_-_Simonet_-_1887di Stefano Tarocchi • È sicuramente possibile tracciare un quadro generale del cristianesimo primitivo a partire da Paolo. Nella scuola esegetica che si sviluppò presso l’Università di Tubinga (Baden-Württemberg) verso la metà del XIX secolo, dove sotto la guida del teologo Ferdinand Christian Baur, vicino alle posizioni di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, si produsse una discussa corrente di ermeneutica biblica. All’interno di quest’ultima fu elaborato il concetto di «paolinismo» per definire nell’insieme il pensiero di Paolo, il «cristianesimo-etnico», in opposizione al «petrinismo», vicino al «giudeo-cristianesimo». All’origine si trattava di due movimenti complementari, ma successivamente la visione di Paolo finì per prevalere.

Questa ricostruzione, che manifesta l’intento di costruire sistematicamente il pensiero di Paolo a partire dalle sue lettere, non è tuttavia immune da una preoccupazione intellettualistica, peraltro fuori luogo: le lettere di Paolo non sono state costruite a tavolino.

È maggiormente corretto sostenere, invece, che il pensiero di Paolo, nella complessità con cui si presen­ta, ha un ruolo tutto particolare nell’orizzonte neotestamentario.

Si inizia nel periodo del primo cristianesimo post-pasquale che precede la conversione e la forma­zione cristiana del fariseo Saulo, un arco temporale molto limitato, dovendo misurare l’intervallo fra la morte di Cristo e l’evento di Damasco compreso fra i tre e i cinque anni. Questo tuttavia che riveste una particolare importanza, in quanto proprio in esso si manifesta la prima testimonianza dei discepoli e prendono forma i primi tentativi di enunciare in forma scritta la fede cristiana. In altre parole, prende l’avvio quel nucleo di tradizione che poi l’epistolario paolino terrà particolarmente presente (cf. 1 Cor 15,3-5; Rom 1,3b-4a).

Ma, naturalmente, il cristianesimo non è riconducibile al solo Paolo, per quanto predominante possa essere la sua personalità. Si definisce così il concetto dell’«apaolinismo», che definisce quei testi che non risentono dell’influsso dell’apostolo: nel canone neotestamentario è rappresentato dal corpus giovanneo e dalla lettera agli Ebrei, sia pure con i problemi che questi scritti pongono. È un percor­so che si prolungherà fino al II secolo, comprendendo al suo interno anche scritti come la Didaché, la lettera di Barnaba, il Pastore di Erma e l’opera di Papia di Gerapoli.

Un terzo fronte, l’«antipaolinismo», è rappresentato fondamentalmente dal giudeo-cristianesimo, che combina i due poli, ritenuti da Paolo incompossibili, della fede nel Messia Gesù e dell’osser­vanza della legge. Esso può essere talora acuito dalla presenza al suo interno di un filone che tende a travisare il paolinismo; ma questa chiave di lettura sarebbe troppo generosa. Di fatto, non di travisamento si tratta, quanto di un’opposizione dell’ala cosiddetta più tradizionalista, e più ortodossa dal punto di vista giudaico, all’interno della chiesa primitiva. Tale opposizione si verifica in maniera tanto più profonda quanto più trascorre il tempo e si succedono le varie generazioni. Lo stesso Paolo lo testimonia nei suoi scritti: cf. 2 Cor 11,13.26 («falsi aposto­li»; «falsi fratelli»); Fil 3,2 («cattivi operai»); Rom 16,17 («coloro che provocano divisioni e ostacoli»).

A proposito della letteratura neotestamentaria, si può ritrovare come testo chiave di questa tendenza probabilmente la stessa lettera di Giacomo; ma più avanti avrà altre manife­stazioni, come ad esempio le lettere Pseudoclementine.

Prescindendo dal libro degli Atti degli Apostoli, che per più della metà è dedicato alla figura di Paolo e che nessuno metterebbe in relazione con la diretta teologia dell’apostolo, conosciamo sotto il nome di questi tredici lettere, di cui sette vengono considerate autentiche dalla gran parte degli studiosi (nell’ordine canonico: Rom, 1-2 Cor, Gal, Fil, 1 Ts, Fm) e sei non autentiche, ovvero pseudoepigrafiche (Ef, Col, 2 Ts, 1-2 Tm, Tt), senza minimanente intaccare la loro appartenenza al canone del Nuovo Testamento.

Il primo gruppo di lettere riflette il sistema di pensiero originale dell’apostolo: è il «paolinismo di origine». Il secondo gruppo riflette invece il pensiero dei discepoli di Paolo, in cui il suo contributo è dunque unito a vari livelli con il contributo di tali discepoli. Pertanto, sarà denominato «scuola paolina», o anche, «paolinismo di tradizione».

L’importanza dell’apostolo risulta da tutti i testi che abbiamo citato (oltre al libro degli Atti, cf. 2 Pt 3,15-16; 1 Clem 5). Su Paolo pos­sediamo una tale abbondanza di notizie che non ha assolutamente pari nel Nuovo Testamento: né su Pietro, né su Maria di Nazareth, e a questo livello neanche su Gesù Cristo, esiste una tale messe di dati

Paolo ha compiuto un’attività missionaria che non ha confronto nel primo secolo, e per molti dei secoli avvenire. La testimonianza più grande al proposito si ha, forse, nell’epilogo della lettera ai Romani: «da Gerusalemme e dintorni fino all’Illiria (il sud dell’attuale Albania), ho portato a termine la predicazione del Vangelo di Cristo (Rom 15,19)». Tale predicazione si spinse nella stessa Roma, che l’apostolo sembra considerare co­me tappa intermedia del suo progetto di recarsi in Spagna (cf. Rom 15,24).

La produzione letteraria di Paolo, esclusivamente epistolare, favorisce il colloquio che una lettera impone. Essa può considerarsi favorita non solo dalla sua formazione rabbinica, ma anche dall’ambiente ellenistico di provenienza; infine, e soprattutto dalla necessità pastorale di prolungare il rapporto con le comunità da lui fondate. Di qui il carattere occasionale delle lettere, la cui importanza non risiede tanto nel livello letterario, quanto nella documentazione sulle chiese destinatarie e sulla personalità, ad un tempo umana e teologica, del loro autore.

L’ultimo momento, quello del «paolinismo di tradizione», nasce dal fatto che il pensiero dell’apostolo ebbe un tale seguito da lasciare dietro di sé una tradizione, una scuola, di cui si fanno portavoce anonimi discepoli di Paolo. Pur nella differenza che, di fatto, s’instaura, si può notare il richiamo costante all’unico maestro. Così Paolo può essere considerato come depositario di un carisma, forse superiore a quello di Pietro, nel favorire un’ampia unità ecclesiale, che costruisce insieme chiese molto diverse e molto distanti fra di loro, che pure si rifanno all’apostolo.

I sentieri principali di questo percorso sono essenzialmente due: il primo, che parte da Colossesi e passando attraverso Efesini giunge a sfociare nello gnosticismo del II secolo; il secondo che parte dalle lettere pastorali e si sviluppa nel successivo ordinamento ecclesiastico della grande chiesa.

Per semplificare, uno conduce all’eresia, l’altro all’ortodossia.

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