“Genealogia di Gesù Cristo”

bibbia_tredonne_m717855b8di Stefano Tarocchi  Matteo è l’unico libro canonico che inizia con una lunga arida lista di nomi: una genealogia. Una buona traduzione letterale del testo evangelico dovrebbe essere «libro dell’origine», espressione che ricalca nella lingua greca quella di Gen 2,4: «Queste sono le origini del cielo e della terra». All’interno dello stesso libro della Genesi ne troviamo almeno due: Gen 5,1-32; 10,1-32.

L’evangelista raccoglie suddivide quarantadue nomi in senso discendente in tre serie di quattordici, come dice esplicitamente: «tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici» (Mt 1,17). Ed è lui medesimo a stabilire la ripartizione di questo triplice elenco a base «quattordici» in una sua personale scansione: in realtà le generazioni sono tredici nella prima serie, quattordici nella seconda, segnato dalla vicenda della deportazione, e solo dodici nella terza.

Nel parallelo Vangelo di Luca il racconto delle generazioni è narrato in senso ascendente dopo il racconto del battesimo di Gesù: questi «quando cominciò il suo ministero, aveva circa trent’anni ed era figlio, come si riteneva, di Giuseppe, figlio di Eli, … figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio» (Lc 3,23-38). In questo caso si tratta di settantacinque nomi, fino ad arrivare nientemeno allo stesso Dio, contro i quarantadue nomi di Matteo (che in realtà sono trentanove), che iniziano da Abramo, che nella lista del terzo vangelo è di fatto il ventunesimo.

I tre gruppi di quattordici generazioni sottolineano il compimento delle profezie veterotestamentarie: la fedeltà di Dio che non viene mai meno alle sue promesse. Nel lungo procedere delle generazioni si inseriscono, oltre a Maria, quattro donne: Tamar, la nuora di Giuda (cf. Genesi 38,1-30; Rut 4,12.18-22); Racab, la prostituta di Gerico (cf. Giosué 2,1.3; 6,17.23.25; Ebrei 11,31; Giacomo 2,25); Rut, la moabita (Rut 4,13-17.18-22); Betsabea, già «moglie di Uria» (cf. 2 Samuele 11,1-26).

Queste figure femminili rompono il lungo, quasi monotono uniforme susseguirsi dei nomi maschili. Esse rendono evidente l’irregolarità e la discontinuità di un cammino non sempre irreprensibile, ma è questa umanità debole e fragile che viene assunta totalmente dal Figlio di Dio per essere salvata.

Tamar, la prima di esse, è di fatto costretta dalla legge del levirato a sedurre il suocero Giuda per assicurare una legittima discendenza: «Tamar si tolse gli abiti vedovili, si coprì con il velo e se lo avvolse intorno, poi si pose a sedere all’ingresso di Enàim, che è sulla strada per Timna. Aveva visto infatti che Sela era ormai cresciuto, ma lei non gli era stata data in moglie. Quando Giuda la vide, la prese per una prostituta, perché essa si era coperta la faccia. Egli si diresse su quella strada verso di lei e disse: «Lascia che io venga con te!». Non sapeva infatti che era sua nuora. Ella disse: «Che cosa mi darai per venire con me?». Rispose: «Io ti manderò un capretto del gregge». Ella riprese: «Mi lasci qualcosa in pegno fin quando non me lo avrai mandato?». Egli domandò: «Qual è il pegno che devo dare?». Rispose: «Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano». Allora Giuda glieli diede e si unì a lei. Ella rimase incinta» (Gen 38,14-18).

Racab fu la prostituta che favorì l’ingresso degli inviati di Giosuè nella città di Gerico quello che dicono due testi. Dicono i testi biblici: «Rimarrà in vita soltanto la prostituta Raab e chiunque è in casa con lei, perché ha nascosto i messaggeri inviati da noi (Gs 6,17). Così commentano la lettera agli Ebrei e quella di Giacomo: «per fede, Raab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto con benevolenza gli esploratori (Eb 11,31); «anche Raab, la prostituta, non fu forse giustificata per le opere, perché aveva dato ospitalità agli esploratori e li aveva fatti ripartire per un’altra strada? (Gc 2,25).

Rut è la straniera che sceglie di ritornare in mezzo al popolo di Israele, e proprio nella città di Betlemme, fino al gesto inaudito di quando «Scese all’aia e fece quanto la suocera le aveva ordinato. Booz mangiò, bevve e con il cuore allegro andò a dormire accanto al mucchio d’orzo. Allora essa venne pian piano, gli scoprì i piedi e si sdraiò» (Rt 3,6-7). Allo stupore di Booz, che le è stato scelto dalla suocera Noemi, Rut risponde: «”Sono Rut, tua serva. Stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva, perché tu hai il diritto di riscatto”. Egli disse: “Sii benedetta dal Signore, figlia mia! Questo tuo secondo atto di bontà è ancora migliore del primo, perché non sei andata in cerca di uomini giovani, poveri o ricchi che fossero. Ora, figlia mia, non temere! Farò per te tutto quanto chiedi, perché tutti i miei concittadini sanno che sei una donna di valore (Rt 3,9-11). La legge del levirato rientra dunque in questa narrazione, che così conclude il brevissimo libro omonimo: così «Booz generò Obed, Obed generò Iesse e Iesse generò Davide» (Rt 4,21-22).

Betsabea, infine, è la donna che Davide si scelse, quando «un tardo pomeriggio, alzatosi dal letto, si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. Dall’alto di quella terrazza egli vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella di aspetto. Davide mandò a informarsi chi fosse la donna. Gli fu detto: «è Betsabea figlia di Eliàm, moglie di Uria l’Hittita» (2 Sam 11,2). Per amore di lei, che gli partorirà Salomone, Davide trama la morte in battaglia del marito (2 Sam 11,14-15).

Quindi l’umanità nella sua inestricabile connessione tra bene e male è la trama sulla quale si intesse la generazione umana del Figlio di Dio. Matteo ne è consapevole e lo sottolinea col suo stile preciso. Lo stesso numero «quattordici», ripetuto tre volte, indica che Cristo è il vero Davide. Fra le interpretazioni possibili, esso risulta infatti la somma dei tre numeri (4+6+4) che a loro volta sono l’equivalente delle lettere che compongono il nome del re (D+W+D, in ebraico le consonanti del nome David).

E qui arriviamo al nodo principale di questa “arida” lista di nomi: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo». Il testo greco dice però letteralmente: «è stato generato», introducendo quello che gli specialisti chiamano il “passivo teologico” (cf. Mt 2,1), come viene chiarito a Giuseppe dalle parole dell’angelo che gli appare in sogno.

Gesù è così il “tre volte” «figlio di Davide» (cf. però 1,20.21.24: anche Giuseppe è chiamato così). Le parole dell’annuncio divino attraverso l’angelo chiariscono ulteriormente: «Così fu generato Gesù Cristo [lett. «l’origine di Gesù era in questo modo»]: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» (Mt 1,18). E più avanti sottolinea: «senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù» (Mt 1,25).

Quindi, senza timore di essere smentiti, questa grandiosa storia a tinte chiaroscurali dell’umanità, viene ad essere illuminata dalla silenziosa presenza della Madre di Dio. Tutte le generazioni umane infatti, si interrompono davanti all’atto divino che si compie attraverso di lei «per opera di Spirito santo».

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